TESTIMONIANZE – VIDEO
(dal minuto 4’20”: testimonianza di Matteo)
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TESTIMONIANZE – RACCONTI DEI PROTAGONISTI
- La testimonianza di Christian
La decisione di donare il midollo osseo scaturisce da un’esperienza personale forte, quando ho visto con i miei occhi e vissuto sulla pelle di un caro amico la battaglia e infine la vittoria della leucemia.
Con Fabio giocavo a rugby da sempre. Alto, robusto e fiero, mai avrei pensato che potesse essere sconfitto da un nemico così vile, né in campo né nella vita. Quando si diffuse la notizia della sua malattia e che si stesse cercando una donazione di midollo per salvarlo attraverso il trapianto, tra noi amici che gravitavamo nel mondo del rugby di Paese (in provincia di Treviso) vi è fu un vero e proprio “arruolamento di massa”, sperando che qualcuno potesse risultare un donatore compatibile. Fabio era un mio amico, e sentivo la sua battaglia anche un po’ mia.
Ricordo di avergli telefonato per l’ultima volta mentre era in terapia intensiva, le sue parole furono: “Devo arrendermi ad un avversario molto più forte di me”. E così è stato, per lui non ci fu speranza.
Nel 2009, ad un anno dalla sua morte, mi capitò di ripensare a lui e al fatto che ancora non avessi ricevuto una chiamata per poter donare il midollo. Il giorno successivo il telefono squillò: era una volontaria di Admor-Adoces che opera presso il Centro Donatori dell’Ospedale di Treviso, mi informava che ero risultato compatibile con un paziente in attesa di trapianto e che mi sarei dovuto presentare subito per una serie di analisi pre-espianto.
Per i donatori vi è la possibilità di ritirarsi fino all’ultimo, ma l’idea non mi ha sfiorato neanche per un secondo: sentivo che era mio dovere, per Fabio e per quella vita che, in quel momento, dipendeva da me. E poi, perché non farlo? Non si corre alcun rischio, non si hanno conseguenze.
La cosa più fastidiosa è l’anestesia totale alla quale si viene sottoposti prima dell’espianto.
Ma cosa volete che sia, in confronto alla certezza di aver salvato una vita e ridato speranza ad una famiglia?
Io sono diventato donatore in seguito all’esperienza del mio amico, ma ammiro moltissimo chi si iscrive al Registro forte di una motivazione molto più semplice: perché non farlo?
- La testimonianza di Federica Baretti: “Sopravvissuta, per il momento”
TREVISO – Sopravvissuta, per il momento. Tecnicamente si dice così, perché di guarigione si può parlare solo dopo 5 anni di vita senza recidive. A quasi un anno dal trapianto di midollo osseo da donatore e a un anno e mezzo dalla diagnosi di leucemia linfoblastica acuta, posso ritenermi fortunata. Non perché ho sconfitto la malattia, ma perché ci sono. Le malattie, a partire da quelle più gravi, come la leucemia, non si combattono. Si vivono. Non si tratta di accettare o non accettare, ma di renderle parte di sé.
La mia è arrivata la vigilia di Natale del 2013. Avevo 38 anni. Certo, era lì già da un po’, ma non da molto, al massimo qualche settimana. Perché quando si è giovani il cancro corre, e se il tumore è liquido e colpisce il midollo osseo – la nostra centrale del sangue – è un velocista assetato di vittoria. Ricordo quegli istanti come un film rivisto cento volte. Le piste da sci della Val Gardena, uno strano dolore muscolare, la tachicardia, la lucida sensazione che c’era qualcosa di insolito e inquietante in quella stanchezza improvvisa.
Il Pronto Soccorso, la mattina della vigilia, gli esiti degli esami del sangue e i medici e gli infermieri che cominciano a trattarti in maniera diversa, offrendoti una mascherina per proteggerti dai virus mentre ti caricano su un’ambulanza diretta al reparto di Ematologia dell’ospedale di Treviso. Auguri. Buon Natale.
Non avevo mai neanche lontanamente immaginato ciò che mi attendeva. O forse semplicemente non avevo mai contemplato l’idea che potesse accadere a me: due cicli di chemioterapia in due fasi, una ogni tre settimane, per mandare la malattia in remissione e arrivare il prima possibile al trapianto di midollo osseo da donatore, perché mio fratello e mia sorella, perfettamente compatibili fra loro, non erano compatibili con me.
Leucemia, trapianto, midollo, chemio. Parole terrorizzanti, che non conoscevo, se non superficialmente. Perché stava capitando a me? “Non sappiamo qual è il primo movens – mi disse un medico speciale – ma le assicuro che da quando la mutazione delle cellule ha inizio, noi sappiamo perfettamente cosa fare, si fidi”. E così ho fatto. Mi sono affidata. Alla chimica, alla scienza e all’essere umano. Medici, primari, ricercatori, infermieri, specializzandi, familiari e amici. Quelli che ci sono stati e quelli che se la sono data a gambe. In quel momento, si trattava di guardare in faccia la malattia. E proprio in quel trovarmi improvvisamente di fronte al limite nel suo volto più estremo, la morte, ho sperimentato su di me la straordinaria magia della vita. Ho cominciato a cantare i miei mantra di desiderio, come antidoto alla paura che toglieva il fiato e al dolore che stordiva.
Il nuovo midollo osseo mi è stato reinfuso il 16 e il 17 giugno del 2014 nella clinica ematologica dell’ospedale di Udine, dopo una dose di chemio e radioterapia che ha letteralmente spazzato via il mio. Ho accolto il nuovo midollo come un gradito ospite da viziare e coccolare. Saremmo andati d’accordo, io e il mio inquilino? Saremmo stati in grado di rispettarci, sfidarci e infine lasciare spazio a chi desiderava perdersi ancora un po’ per il mondo?
In quei giorni di isolamento in una camera sterile – il mio acquario – fantasticavo sul mio donatore. A volte lo immaginavo come un alpino, perché dopo appena tre mesi dal trapianto, con 10 chili di meno, le mucose secche, l’intestino annodato e un viavai di nausea, febbre, aghi e capogiri, ho cominciato a sentirmi meglio e ho iniziato a fare ginnastica. Altre volte come un marinaio, perché spesso nelle settimane successive al trapianto pensavo lungamente al mare, alla sabbia sui piedi, alle labbra umide e salate, mentre me ne stavo lì nella bolla ad attendere l’attecchimento del nuovo midollo.
Certamente il mio donatore era un uomo, o una donna, che aveva scelto consapevolmente e gratuitamente la possibilità di donare la vita a un altro essere umano. Io, per onorarlo, ho continuato coi mantra. E anche con gli allenamenti. Spirituali e fisici. Pilates due volte la settimana, un’ora di camminata al giorno con il cane, una cinquantina di libri letti in una manciata di mesi, la totale e incondizionata volontà di continuare a sperimentare ogni giorno la vita. Quel desiderio di esserci, nonostante tutto. Ho rimesso gli sci esattamente sei mesi dopo il trapianto. Ora sono qui, per il momento, sopravvissuta. Un domani, forse, guarita.
- La testimonianza di F., mamma di A.
Tutto ebbe inizio a giugno del 2011, quando la mia bimba, di un anno e mezzo, frequentava il primo anno di nido: le febbricciole frequenti inizialmente ci avevano fatto pensare ad una virosi e avevamo ricondotto gli ematomi sulle gambe e sulle braccia al suo temperamento vulcanico e ai giochi scatenati.
Avevo tuttavia una strana sensazione e chiesi al pediatra di poter eseguire un prelievo di sangue: l’esito arrivò tempestivo, con l’invito a recarci immediatamente al pronto soccorso pediatrico della nostra città. E qui la doccia ghiacciata: si trattava di leucemia linfoblastica acuta tipo common, la più diffusa tra i bambini, ma anche la più curabile attraveso la chemioterapia.
Seguì il ricovero immediato nell’Oncoematologia di un centro maggiore e iniziammo i due anni di cura previsti dal protocollo: 24 mesi lunghi e non sempre facili, che tuttavia la bimba superò piuttosto bene, venendo infine dichiarata guarita e iniziando i controlli mensili.
Lei, e noi con lei, siamo tornati a vivere: la piccola ha potuto frequentare l’anno intermedio della scuola dell’infanzia e la nostra quotidianità è tornata poco alla volta quella di due anni prima.
Tutto bene fino ad agosto 2014. Eravamo al mare e la bimba un giorno si accasciò a terra urlando per il mal di schiena. Seguirono gli accertamenti: si trattava di una ricaduta, il 70% delle cellule del suo midollo risultavano malate, di nuovo.
L’unica speranza rimaneva il trapianto, da donatore volontario perché la piccola non ha fratelli.
Dopo tre mesi è stato identificato un donatore compatibile, quello che la bimba oggi chiama con orgoglio “il mio supereroe” e il 31 marzo 2015 è stato effettuato il trapianto.
Una data, questa, che ho voluto tatuarmi: in quel giorno mia figlia è nata per la seconda volta.
La bimba quest’anno, a 7 anni, ha iniziato la scuola primaria: è serena e ha una gran voglia di recuperare il tempo della malattia, le esperienze e le amicizie che non ha potuto godere a causa della malattia.
- La testimonianza di Roberto, padre di un paziente sottoposto a trapianto
L’unico e solo motivo di questa testimonianza è che la nostra famiglia, fortunata, ha un enorme debito di riconoscenza verso un anonimo donatore di midollo osseo che ha ridato forza, fiducia e vita a nostro figlio.
Non è piacevole essere qui a raccontare i problemi e le difficoltà personali, ma ci auguriamo che conoscere la nostra esperienza possa essere di aiuto ad altre persone.
Le nostre parole non cercano compassione o vicinanza. Vorremmo solo far capire l’importanza della donazione di midollo. Tante, tante, tante persone, genitori, figli, fratelli sono stati o sono tuttora, in questo istante, nella nostra condizione.
Noi siamo solo la loro voce. La voce di chi vuol dire che senza essere medici oppure eroi, è possibile dare speranza di vita e di guarigione a tanti sfortunati malati il cui futuro è legato al trapianto di midollo.
Il dolore non risparmia nessuno ma questo non è l’oggetto della lettera.
Vorremmo farvi sapere che esiste la possibilità concreta di fare qualcosa di reale, di vero.
Tanti tristi epiloghi forse si sarebbero potuti evitare se ci fossero stati più donatori di midollo. Più grande è il loro numero, maggiori sono le possibilità di trovare donatori compatibili ed uguali a coloro che ne sono alla ricerca.
L’obiettivo unico del nostro intervento è di far conoscere questo messaggio.
E’ un messaggio forte, concreto, ma mai abbastanza se si pensa al significato vero di quello che tutti noi desidereremmo. Riuscire ad avere il giusto donatore per ciascun malato.
Due aspetti ci hanno particolarmente colpito in questi mesi. Il primo, drammatico, è stato il vero e completo senso di impotenza di noi genitori. Non poter far nulla per aiutare nostro figlio, se non piangere silenziosamente accanto a lui. E’ da qui che nasce il bisogno di far conoscere la nostra esperienza. Donare il midollo significa ridare una possibilità di cura ai figli di altri genitori. Questo è il nostro unico mezzo per aiutare i tanti che ne hanno bisogno e non essere così totalmente impotenti. L’altro aspetto che ci ha stupito è stata l’enorme dignità e forza di ciascun malato nell’affrontare le difficoltà. La malattia non è mai ritenuta disgrazia o sventura ma solo un caso sopraggiunto da affrontare e combattere con tutte le proprie forze, con i mezzi a disposizione e con l’aiuto dei medici, spesso di sensibilità ed umanità sorprendente.
Dai bambini ammalati che stiamo incontrando e conoscendo nel nostro percorso abbiamo una continua lezione di vita. Le difficoltà che ogni giorno dobbiamo affrontare, da persone sane, nulla sono in confronto a quelle che questi ragazzi stanno vivendo. Non serve compassione o desolazione. Meritano sicuramente di più. Meritano il massimo della nostra stima e tutto l’aiuto che, secondo le nostre possibilità, siamo in grado di offrirgli.
Il nostro non è un caso unico. Stiamo parlando a nome dei tanti che stanno attraversando momenti simili. NON sono episodi così rari o isolati come si pensa o, per paura, si vorrebbe credere.
E’ stato un anno di dolore, di speranza ma, fortunati noi, di grande riconoscenza.
Riconoscenza verso coloro cha hanno avuto il buon cuore di essere sensibili e a noi vicini in questo periodo, iniziando dai medici per arrivare ai donatori di sangue e infine all’anonimo donatore di midollo che si è offerto per nostro figlio e a cui donatore auguriamo che possa almeno immaginare l’immenso valore del suo gesto.
Sono parole molto semplici, dirette, forse poco curate nella forma, ma spero di essere riuscito a trasmettere un po’ di queste nostre riflessioni.
La scienza e la medicina ci spiegano come potremmo fare se volessimo diventare donatori di midollo osseo, ma è il nostro cuore che deve renderci disponibili ad offrirci di aiutare coloro che, a fatica, potrebbero riprendere a sperare grazie ad un nostro gesto.
Un forte abbraccio a chi non ha avuto la nostra fortuna. Siamo profondamente e sinceramente vicini a coloro, conosciuti e non conosciuti, che ancora stanno combattendo la malattia.
Davanti ai bambini malati si ride anche quando si vorrebbe piangere, ma io ringrazio che almeno ad oggi abbiamo una storia positiva da raccontarvi. Grazie.
- La testimonianza di Loretta
Nel giugno del 1997, sono stata portata in ospedale praticamente priva di forze, con forti dolori alle gambe e alla schiena, grigia in volto e, dopo un veloce esame del sangue, non è stato difficile capire per i medici che si trattava di leucemia mieloide acuta, un tumore del midollo osseo. Il midollo osseo è il tessuto contenuto all’interno delle ossa di tutto il corpo, ma cosa più importante: è la “fabbrica” del sangue, della linfa vitale che alimenta ogni parte del nostro corpo.
Dire che in quel momento mi è crollato il mondo addosso, credo sia poco; in pochi secondi ho visto andare in fumo ogni progetto, ogni aspirazione. E’ come aver minato un grattacielo che prima svettava verso il cielo, costruito con fatica e ridotto ad un nonnulla… ad un cumulo di macerie.
Ma presto ti rendi conto, con l’aiuto di medici eccezionali, che se esiste anche una sola possibilità di vita, vale la pena di tentare ad iniziare le cure. In questa fase è molto importante aver condotto una vita sana, senza eccessi. E’ più semplice affrontare un solo problema, per giunta così grave, che non tanti assieme.
Così ho deciso di intraprendere il difficile cammino della cura, che si è presentato totalmente in salita. Spogliata di ogni confort, di ogni sicurezza, dell’aria naturale, del sole, della pioggia e di tutto ciò che prima era normalità, ho indossato una pesante corazza per combattere la più grande battaglia della mia vita. “Se collaborerà con noi, avrà qualche possibilità di vita, diversamente…” mi dissero i medici schiettamente.
Fui alloggiata in una stanza di ospedale dove, oltre alla mia sofferenza dovetti condividere anche quella delle mie compagne di “viaggio”; cure durissime e periodi anche di venti giorni (aplasia) dopo ogni ciclo di chemio, nei quali le difese immunitarie erano ridotte a zero. Momenti terribili nei quali anche un banale raffreddore poteva essere mortale, un semplice batterio poteva scatenare l’irreparabile. La testa completamente ovattata, indisposta alla televisione, ai giornali, alla semplice lettura di un libro. Il niente.
Giorni interminabili ad attendere che qualche neutrofilo, sopravvissuto alle cure, si moltiplicasse nel midollo per riformare la colonia delle cellule preposte alla difesa immunitaria. Che gioia quando al mattino intorno alle undici gli esiti del sangue davano segno che il midollo stava ripartendo, gioia spesso soffocata e non goduta completamente per rispettare la tristezza di chi si vedeva la situazione completamente bloccata. Quante persone ho visto morire, e per quante ho pregato… La preghiera era per tutti un momento molto privato, intimo. Si sfilavano da sotto il cuscino o dal cassetto del comodino piccoli libricini che accompagnavano le nostre preghiere, qualche rosario sgranato sotto il lenzuolo, qualche viso solcato da lacrime, ma tutto con grande dignità, quasi a non voler mostrare le nostre fragilità se non a colui che ci ha creati e al quale ci rendevamo conto di non poter nascondere nulla.
Nel trascorrere delle giornate si era chiamati ad una sorta di mutuo soccorso e spesso a farsi carico di sfoghi e disperazioni degli altri ammalati, quasi non bastasse sopportare i propri. Ma i circa sei mesi di ospedale sono stati per me una vera palestra di pazienza, dove ho imparato ad aspettare, a sopportare, ad ascoltare, ad apprezzare, a pregare, a capire l’essenza delle cose e a dare a ciascuna l’importanza che merita.
Nei primi quattro mesi i cicli di chemioterapia hanno avuto apparente ragione sulla malattia, ma purtroppo dovevo fare i conti con una forma molto aggressiva e con una probabilità di ricaduta molto elevata. Così mi prospettarono il trapianto di midollo osseo: bruciare il mio, povero di cellule, bastonato all’inverosimile ma…
Il mio, per far posto ad uno sano che mi avrebbe dato un donatore. Ma chi? Bella domanda! Si è subito cercato fra le mie due sorelle e, dopo giorni di attesa che sembravano interminabili, entrò nella stanza la dottoressa che mi comunicò che una delle mie sorelle era compatibile anzi identica. Miracolo! Dato che le statistiche danno un fratello su sei compatibile. Iniziò così la preparazione al trapianto che non voglio raccontare ma che riassumerei così: arrivare a morire per avere la possibilità di vivere. Ricordo il giorno del trapianto: al mattino si aprì la porta della mia camera e mia sorella, dal lettino che la portava all’espianto del suo midollo mi disse: “Tieni duro che tra poco ti mando le pile nuove”. Dopo qualche ora, arrivò il medico che teneva in una sacca il suo midollo, unica mia speranza di vita. Vivevo da qualche giorno senza il mio midollo, tenuta in vita dal sangue dei donatori.
L’infusione del prezioso liquido durò otto ore, indescrivibile l’emozione di quel momento. Mi fu somministrata morfina per sopportare i dolori provocati dalle lacerazioni della mucosa della bocca e dell’intestino e nei momenti di lucidità ero cosciente di essere in pericolo. Finché un giorno mi venne comunicato che il midollo di mia sorella aveva attecchito e stava producendo cellule e quindi sangue sano. Il seguito fu molto impegnativo ma pochi giorni prima di Natale tornai a casa dopo circa sei mesi di degenza in ospedale.
La felicità di rivedere la mia casa che mi appariva la più bella del mondo, godere della mia piccola famiglia, anche se ho potuto rivedere definitivamente solo cinque mesi dopo il trapianto e sempre protetta da mascherina, è stata immensa.
E’ stato per me un problema rientrare alla vita normale. Ricordo di aver provato disgusto la prima volta che sono entrata in un supermercato a fare la spesa: quanto superfluo, quante cose che non contano. E ci si ritrova a fare i conti con una realtà totalmente diversa dall’essenzialità e dal rigore a cui ti aveva abituata la vita in ospedale.
Comunque sono qui a raccontare e ora dedico parte del mio tempo al volontariato:
- Per dimostrare a chi è malato che grazie alla ricerca si può guarire
- Per dire ai giovani dai 18 ai 37 anni che c’è bisogno di loro perché ancora più del 30% dei malati di leucemia non trova un donatore compatibile e muore
- Per fare in modo che i medici che mi hanno aiutata nei momenti difficili possano lavorare con tutte le apparecchiature di cui necessitano, meritando questo ed altro
- E poi… Grazie ai donatori di sangue, grazie a chi ha donato il midollo e a chi lo donerà, e grazie al Padre Eterno!
- La testimonianza di Giulia e il suo donatore
Sono viva grazie al dono di un donatore
Riportiamo la corrispondenza tra una ragazza ammalata di leucemia con il suo donatore volontario di cellule staminali emopoietiche; una significativa testimonianza dell’importanza e del valore della donazione.
(Nomi e circostanze non corrispondono al vero per rispetto della riservatezza)
Sono Giulia, la persona che ha ricevuto le tue cellule staminali. Non so da dove iniziare, quindi parto dal principio: la malattia e la salute. Alcuni mesi fa io ero una ragazza… in buona salute, che conduceva una vita assolutamente normale e particolarmente felice. Un giorno è accaduto qualcosa nella mia vita che ha distrutto l’ordine delle cose in cui credevo, impedendomi di poter reagire in nessun modo. L’evento che ha deturpato per sempre lo splendido equilibrio che pensavo governasse l’universo mi ha colta quando ero in attesa del mio bambino. Il dolore per l’assurdità della realtà che stavo vivendo mi ha corrosa dentro come un tarlo e ha scatenato il male all’interno del mio midollo. Infatti, a pochi giorni dal parto del mio bellissimo e sanissimo bimbo, la leucemia ha fatto capolino nella mia vita allontanandomi, per forza di cose, dai miei cari e dal mio splendido bambino appena nato.
Sono rimasta reclusa all’interno di stanze di ospedale per molti mesi, vivendo esperienze di dolore e sofferenza sulle quali non è il caso di soffermarsi. Il pensiero che riuscivo a formulare in quei lunghi, lunghissimi giorni, è stato: può una madre di un bimbo piccolissimo limitarsi a sopravvivere tra un ricovero e l’altro? Dovevo guarire o morire… ed è così che lo penso ancora.
La guarigione nei casi di leucemia è una parola grossa che tutti dicono sottovoce, ma le strade per arrivarci ci sono. La mia strada? Il trapianto! Una strada lunga e pericolosa, incerta. Donatori? Una sorella aploidentica, ossia con un basso profilo di compatibilità. Abbiamo tentato la strada del Registro dei donatori volontari. In Italia non esisteva nessuno che avesse un minimo di compatibilità con me. Nel mondo hanno individuato 4 persone: 2 statunitensi, un inglese e un tedesco… tu. Le provette di sangue sono state mandate da tre persone ma l’unico ad avere una compatibilità sufficiente per tentare la strada del trapianto eri tu.
Cosa hai fatto? Hai aderito alla richiesta di aiuto che proveniva dall’Italia. Ci avrai pensato su? Ti sarai chiesto se meritassi il tuo gesto? Se fossi una persona buona o una malvagia… magari un’assassina, qualcuna che maltratta i propri figli. O forse non ti sei chiesto nulla ma hai pensato solo che ero una persona viva che presto avrebbe potuto non esserlo più? Ti riporto una frase scritta da un uomo salvato dal dono del midollo fattogli da un giovane tedesco 8 anni fa. A me piace moltissimo, la trovo commovente e al tempo stesso chiarissima.
E’ come accendere una luce di notte, lungo la riva del mare. Tu sei nel porto, fuori il mare è calmo. Non sai se il tuo faro potrà servire, non sai se qualcuno chiederà aiuto. Non importa. Accendi la luce. All’improvviso può scoppiare la tempesta. In mezzo alle onde può esserci un navigante che cerca la via di salvezza. Il tuo faro potrebbe essere l’unico giusto per condurlo in porto. E se fosse spento? (1)
So a cosa ti sei sottoposto e sono stata in apprensione per te: le sottocute, i dolori alle ossa, l’aferesi lunga tante ore in condizione di immobilità. Sono stata contenta di sapere che non sei stato operato.
La sacca contenente le tue staminali ha rappresentato per me molto di più di quello che si possa immaginare: un dono tuo, un dono di Dio, un dono di chi mi ama. Tu non lo puoi capire perché non conosci la mia storia. Voglio solo dirti che, se il tuo midollo non mi ucciderà avremo lo stesso sangue perché tu hai voluto darmi il tuo codice genetico. E io di fronte a questo cosa posso darti in cambio? Il ringraziamento della mia famiglia, degli amici. Tutti intorno a me per sostenermi in questa strada faticosa che deve portare da qualche parte oltre che alla guarigione. Ti adorano tutti e non sanno chi sei.
Vorrei poterti dare qualche cosa di più. Quando attraverserai la mia terra e raggiungerai una città del sud antica di migliaia di anni… quando percorrerai le sue strade, sentile tue. Quando mangerai il suo pane profumato, sentilo tuo. Attraversa la sua campagna e fa’ conto che sia la tua terra, perché lì hai scelto di avere una sorella e quella è la terra di tua sorella. Raggiungi il mare e grida nel vento il mio nome. Forse ti dirà dove potrai incontrarmi, forse ti risponderà: “Giulia è dentro di te”.
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(1) Il brano tratto dal libro di Emilio Bonicelli “Ritorno alla vita” (NDR)
Hello Giulia, Who I am? I am the one whose genetic code you have inside yourself. My name is […] I am 47 years old und I am as you know from Germany. Since 2000 I am marriaged again with a wonderful woman. I have two daughters (24, 21 years old) from my first marriage. My wife has two sons from her first marriage (28, 25 years old), who don’t live with us, they live alone or with their girlfriends. For 33 years I have been working in the automobile branche. Unfortunately, I am not a big writer, but I will try. Your life and the story of your illness hurt me very much. We were shocked when my wife and me read your story about your life and illness in your young life. All the more I am glad that with my donation I could give a piece of hope. How are you? I really hope that with my donation I could help you to become healthy. That is the reason why I typed myself. I wanted to help. In middle of the 90’s it has begun. My wife and I brought some friends to the airport, there was a donation appeal for a little girl between 9 or 10 years old who had leukaemia. Without thinking we decided to help. A little prick in the arm or some drops of blood could survive a life. From this time on we were registried in the data file of bone marrow center (…). In 2000 I was also chosen for a donation in first step but unfortunately, after the second checkup I was not matched whit the patient. And then I was asked this years again. Suddenly I thought on the little girl and without long thinking I told to my wife: “I want to help. No matter for who it will be, young or old”. I agreed after I had been clarified about the risks and perhaps the pain I will go through. For the four days which I had to take the medical drugs, the last two were the most terrible ones. Head, arms, legs and muscles ache as if I suffered from a cold. But no matter, I will do it again. Believe me, the pain I had to through is not comparable with the one you suffered from. All the more we were very happy that under the million of voluntary donors who could give you and your child a new perspective for life, my cells will help you, hopefully! Could I help and how is the recipient now? In this time we were informed about your well being and that you are on the way to become healthy. That was very nice to hear. We were glad to get your letter and we are looking forward to keep this letter contact in the future, too. We wish you all the best for your life and we will switch a candle light for you and your family in our church every month. With best greetings and wishes for becoming healthy! P.S. Please, embrace your child from me. |
Ciao Giulia, Chi sono? Sono colui il cui codice genetico è dentro di te. Mi chiamo (…) Ho 47 anni e sono, come sai, tedesco. Dal 2000 mi sono risposato con una donna meravigliosa. Ho due figlie (24 e 21 anni) dal mio primo matrimonio. Mia moglie ha due figli dal suo primo matrimonio (28 e 25 anni) che non vivono con noi, vivono da soli o con le loro fidanzate. Da 33 anni lavoro nel settore dell’automobile. Sfortunatamente non sono bravo a scrivere ma ci proverò. La tua vita e la storia della tua malattia mi hanno colpito molto. Io e mia moglie siamo rimasti scioccati quando abbiamo letto la storia della tua vita e della tua malattia in così giovane età. Quello di cui sono felice è che con la mia donazione ho potuto darti un po’ di speranza. Come stai? Spero davvero che con la mia donazione abbia potuto aiutarti a stare bene. Questa è la ragione per la quale mi sono tipizzato. Volevo essere utile E’ cominciato tutto a metà degli anni ’90. Io e mia moglie abbiamo accompagnato degli amici all’aeroporto, e c’era un appello alla donazione in favore di una bambina tra i 9 e i 10 anni che aveva la leucemia. Senza pensarci su abbiamo deciso di aiutarla. Un piccolo buco nel braccio o poche gocce di sangue potevano salvare una vita. Da quel momento in poi siamo stati inseriti nella Banca Dati del Centro donatori di midollo osseo. Nel 2000 sono stato selezionato per una donazione al primo stadio ma, sfortunatamente, dopo il secondo controllo, non ero compatibile con il paziente. Poi mi è stato chiesto di nuovo quest’anno. Subito ho pensato a quella bambina e senza pensarci troppo ho detto a mia moglie: “Io voglio essere di aiuto. Non importa per chi sarà, giovane o vecchio che sia”. Ho acconsentito, dopo aver ricevuto chiarimenti sui rischi e forse sul dolore che avrei avuto. Tra i quattro giorni in cui ho dovuto assumere i farmaci, gli ultimi due sono stati i più brutti. La testa, le braccia, le gambe e i muscoli mi facevano male come se avessi l’influenza. Ma non importa, lo rifarei. Credimi, il dolore che ho sopportato non è paragonabile a quello di cui tu hai sofferto. Inoltre ciò di cui siamo stati particolarmente felici è che in mezzo a un milione di donatori volontari, che potevano dare a te e a tuo figlio una nuova prospettiva di vita, ti aiuteranno le mie cellule, speriamo! Ti sono stato utile? E come stai ora? In questo periodo siamo stati informati del tuo stato di salute e che sei in via di guarigione. E’ stato molto bello saperlo. Siamo stati felici di ricevere la tua lettera e speriamo di mantenere questo scambio epistolare anche nel futuro. Ti auguriamo ogni bene per la tua vita e accenderemo ogni mese una candela per te e per la tua famiglia nella nostra chiesa. Tanti cari saluti e auguri di una pronta guarigione! P.S. Ti prego, abbraccia per me il tuo bambino. |
Carissimo amico mio,
ricevere la tua lettera è stato motivo di grandissima gioia.
Mi chiedi notizie della mia salute. Ebbene posso darti molte belle notizie! A giudicare dal mio attuale stato di salute e dalle cose che riesco a fare credo di poter dire che le tue cellule staminali siano state un’ottima medicina, forse la migliore possibile. Credo che i medici che si prendono cura della mia salute siano molto soddisfatti dell’andamento del trapianto e del loro operato. Riesco a fare il 90% di quello che facevo prima della malattia…
Non vedo l’ora di riprendere a lavorare, benché attualmente il da fare non mi manchi affatto, come sai ho un bambino che mi tiene molto impegnata! Vorrei tornare presto al lavoro per una desiderio di normalità o di normalizzazione.
Ti dicevo del trapianto: non faccio che stupirmi di fronte alle risorse che possiede il corpo umano e la natura e alle cose eccezionali che la scienza è in grado di fare con queste risorse. Il percorso del trapianto è stato tutt’altro che facile ma superata la fase più critica posso dirti che il tuo sangue e le tue cellule mi hanno portato in tanti posti e consentito di fare tante esperienze. Soprattutto mi hanno consentito di prendermi cura di mio figlio e per questo ti sono infinitamente grata. Ho intenzione di far lavorare molto a lungo tutto il sistema che mi hai regalato, visto che funziona così bene e che va d’accordo con il resto del mio corpo. Molte persone si muovono e vanno in pellegrinaggio in luoghi lontani per assistere a manifestazioni miracolose, invece io sono più fortunata perché non devo andare lontano per assistere a un miracolo. Il miracolo vive nelle mie ossa, ossigena il mio corpo, mi protegge dalle infezioni e fa funzionare il mio organismo, mi rende libera da una malattia gravissima.
Il miracolo è un uomo che si preoccupa per un altro di cui non sa nulla, il miracolo è nel mistero di come tanto amore possa essere finito nel cuore di quell’uomo. Il miracolo esisterebbe e rimarrebbe tale anche se il tuo midollo non mi stesse portando alla guarigione, perché a questo punto non posso non pensare di essere sulla strada della guarigione. E’ il miracolo di una luce di speranza che si accende a Dundee per il mio bene e per quello di mio figlio, gratuitamente, solo per amore dell’umanità e della propria umanità. Non ti nascondo che leggo spesso la tua lettera e ogni volta le tue parole mi danno una sensazione molto bella. Dimentico tante cose difficili, brutte che fanno parte della vita di ognuno di noi e riesco a vedere soltanto quanto ci sia di bello nel cuore di un uomo. Questo mi dà una grande gioia. Sono contenta di leggere che hai al tuo fianco una donna della quale sei molto innamorato, questo si capisce bene dalla lettera che mi hai scritto e si capisce anche che avete vissuto insieme e molto intensamente l’esperienza della donazione, quasi come se fosse un gesto che appartiene ad entrambi. Mi farà molto piacere se continueremo a mantenere questo rapporto di corrispondenza. Avrei tanto voluto conoscervi di persona, ma mi fa piacere di poter comunicare anche solo per lettera.
Devo portarti i ringraziamenti di molte persone. I miei amici di sempre mi hanno chiesto di ringraziarti per aver fatto quello che molti di loro avrebbero voluto fare per me. In tanti si sono tipizzati ed iscritti al Registro e il tuo esempio e il buon risultato del trapianto ha aperto il cuore di molte persone verso la donazione del midollo osseo. Credo che sia un fatto bello, una conseguenza buona di una cosa brutta come la malattia. Mi hanno chiesto di ringraziarti anche molte persone che hanno ricevuto il trapianto di midollo ma non hanno avuto la fortuna di instaurare un contatto con il loro donatore.
In famiglia spesso parliamo di te con grande affetto e la tua lettera ha fatto piangere tutti, in particolare mio padre. Il mio bambino non può capire ancora tutto quello che ci successo ma quando sarà più grande gli spiegherò ci che un uomo sconosciuto ha fatto per la sua mamma e per lui e spero proprio che un giorno sia in grado di imitare il tuo comportamento…